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L’essenza dottrinale del Fascismo: lo Stato etico fascista come realtà morale, politica ed economica unitaria nella riflessione dei teorici del Regime.

 

 

Marco Piraino

 

Storico e scrittore, specializzato nello studio del totalitarismo fascista, laureato in Storia all’Università di Pisa (Italia), curatore della collana editoriale “Biblioteca del Covo – scritti dottrinali e politici del Fascismo”.

 

 

Premessa.

 

E’ mai esistito ufficialmente un pensiero ideologico fascista, ossia, una specifica ed esclusiva Dottrina del Fascismo? [1] Tale domanda, apparentemente semplice, ancora oggi sembrerebbe non trovare una risposta comunemente riconosciuta tra gli storici ed i politologi. Anzi, ad essere precisi, non è esistita al riguardo un’idea chiara, cioè fondata su seri riscontri accertabili storicamente,[2] nemmeno tra i gruppi politici dell’estrema destra, ovvero coloro che a torto, dopo il 1945, si sono autoproclamati o sono stati definiti in modo arbitrario dai propri avversari come eredi politici o continuatori del movimento politico fondato da Benito Mussolini. Come mai, a differenza del socialismo, del comunismo, del liberalismo, del nazionalismo e persino del nazionalsocialismo, il Fascismo sembra essere l’unico fenomeno politico epocale del quale non sia possibile riconoscere in modo universalmente accettato i tratti distintivi di una specifica dottrina? Certamente, come avremo modo di osservare nelle pagine successive, non perché la cultura politica espressa dai suoi maggiori teorici, a cominciare dal Duce, abbia trascurato questo particolare aspetto intellettuale. Su tale argomento ha influito senz'altro la damnatio memoriae in cui è incorso il Regime in virtù della sconfitta militare subita al termine della Seconda Guerra Mondiale; ma oggi giorno, dopo decenni di studi al riguardo, che lentamente e faticosamente hanno ricostruito, ognuno in un particolare ambito, molti tasselli dell’articolato mosaico ideologico fascista, appare incredibile constatare la mancanza di una visione organica di tale concezione dottrinale universalmente accettata dai ricercatori. Anzi, va ribadito con forza che una seria interpretazione storiografica al riguardo non può più prescindere, in nessun caso, dal riconoscimento delle precise basi culturali né dalla specificità della dottrina che il movimento mussoliniano seppe esprimere. In tal senso, come in passato ho già avuto modo di sottolineare, il merito di aver giustamente “riscoperto” ed evidenziato l’importanza dello studio dell’ideologia fascista, della sua genesi, del suo sviluppo teorico e pratico nonché del peso che essa ebbe nelle decisioni e nei comportamenti assunti dal Regime, va individuato nei lavori pionieristici di Renzo De Felice, Emilio Gentile, Domenico Settembrini, Pier Giorgio Zunino; di storici della filosofia come Augusto Del Noce, nelle analisi che le Scienze Politiche e la Sociologia in campo internazionale hanno fornito grazie ai lavori di A. James Gregor, Juan Linz e Zeev Sternhell, fino ai recenti contributi storiografici di Alessandra Tarquini. Ai loro lavori va riconosciuto cronologicamente un primato scientifico indiscutibile ed imprescindibile, dunque, un indispensabile supporto per lo studio, da utilizzare necessariamente per esplorare ed approfondire ulteriormente quel tanto che ancora in tale ambito storico deve essere investigato. [3]

Le interpretazioni.

In particolare, sono stati tre i lavori che, a partire dalla fine degli Anni 60 del Novecento, hanno impresso una svolta decisiva negli studi sull’ideologia fascista: in ordine di tempo e di importanza, L’ideologia del Fascismo – il fondamento razionale del totalitarismo pubblicato nel 1969 dallo statunitense A. James Gregor; Le origini dell’ideologia fascista, 1918 – 1925 edito nel 1975 dall’italiano Emilio Gentile;[4] Nascita dell’ideologia fascista, del 1989 realizzato dall’israeliano Zeev Sternhell. Tali opere hanno permesso alla ricerca storica di compiere un significativo balzo di qualità, passando da una interpretazione dichiaratamente politica, figlia dell’antifascismo liberale e marxista, che bollava il movimento mussoliniano, sulla scia dei lavori di Benedetto Croce e di Piero Gobetti, come idealmente confuso, contraddittorio e privo di qualsivoglia ideologia, [5] al riconoscimento di una sua specifica dimensione culturale e politica, di un ideale che non si riduceva alla riproposizione di temi “reazionari” funzionali alla conquista e conservazione del potere politico, secondo quanto già sostenuto da Antonio Gramsci,[6] bensì dotato di una propria visione rivoluzionaria e totalitaria, sebbene qualificata come a tratti confusa, apparentemente priva cioè di coerenza formale e uniformità logica. Gregor è stato il primo ad avvalersi senza preconcetti dello studio di un’ampia documentazione ideologica di fonti primarie fasciste con l’intento di esporne i contenuti senza interpretarli a priori, ancorché lontano tanto da qualsiasi intento apologetico del Fascismo quanto distante da polemiche moralistiche demonizzanti, tipiche di certa storiografia politicizzata in senso antifascista. Egli rilevò nello Stato etico fascista il mito politico razionale (ma non razionalista!) che stava a fondamento della concezione totalitaria e religiosa dello Stato Nuovo mussoliniano e che assunse la funzione di elemento ideologico comune nel quale, al di là dei differenti ambiti culturali e politici di provenienza, tutti i più illustri teorici dell’elite politica fascista si riconobbero senza riserve, dal filosofo Giovanni Gentile ai giuristi Carlo Costamagna, Sergio Panunzio e Alfredo Rocco, fino ai mistici fascisti di Niccolò Giani. Vi sosteneva che l'ideologia del Fascismo rifiuta le categorie di “destra” e “sinistra”, incarnando una dittatura di sviluppo attivamente nazionalista, con un impianto ideologico razionalmente coerente, animata da una sorta di concezione religiosa della politica, guidata da un capo carismatico e diretta da un partito unico, inserito in un sistema dominato dallo Stato etico, risultando perciò storicamente e intellettualmente un unicum in quanto prodotto di un particolare insieme di idee prevalenti in Italia nel corso dei primi decenni del ventesimo secolo. Tale ideologia, analizzata in chiave sociologica, nella prospettiva politica comparativa tra fenomeni rivoluzionari adottata dal professore americano, assume una importanza molto più vasta di quanto la sua breve esistenza storica lasci supporre, poiché il Fascismo rappresenta un tipo estremo di movimento rivoluzionario di massa, il primo esempio maturo di movimento di modernizzazione, il primo che aspirò a impegnare la totalità delle risorse umane e naturali di una comunità storica per lo sviluppo nazionale e che per il raggiungimento dei propri fini richiese un organismo centralizzato per la mobilitazione, la dislocazione e la direzione delle risorse, il primo esempio dove comparvero lo Stato totalitario ed il partito unico autoritario che promosse i mutamenti in direzione di un capitalismo di Stato totalitario; in breve, Gregor riteneva che il Fascismo risultava essere il primo rappresentante di quelle rivoluzioni chiamate «rivoluzioni progressiste». E’ indubbio che molte di tali conclusioni abbiano anticipato e influenzato parecchi dei successivi lavori di altrettanti specialisti; come ad esempio quelli di Emilio Gentile, in merito alla sacralizzazione della politica nonché alla valenza specificamente totalitaria del Fascismo, sebbene legata a peculiari individualità ideologiche, sociali, storiche e nazionali italiane; o quelli di Zeev Sternhell, riguardo la continuità ideale tra la revisione antimaterialistica del socialismo elaborata nell’ambito del sindacalismo rivoluzionario soreliano e il Fascismo, nei quali si evidenzia la valenza politica rivoluzionaria, l’originalità intellettuale e la piena maturità ideologica di quest’ultimo, espressione di una nuova aristocrazia politica della volontà, votata alla lotta contro gli “inganni borghesi” del liberalismo parlamentare; e persino i lavori assai più recenti di Alessandra Tarquini, in cui si sottolinea l’esistenza e l'uniformità ideologica di una specifica “cultura totalitaria fascista” condivisa tanto dai fascisti “gentiliani” quanto da quelli cosiddetti “antigentiliani”, capace di analisi e soluzioni politiche di valore. [7] Tutto ciò, va ugualmente osservato, nonostante le conclusioni del professore americano appaiano in evidente contrasto tanto con le interpretazioni della vulgata antifascista, di “defeliciana” memoria, quanto con le stesse analisi espresse ufficialmente dagli ideologi del P.N.F. e dai mistici fascisti in merito all’essenza primariamente spirituale ed antieconomicista della dottrina mussoliniana, una caratteristica questa che, seppure chiaramente presente nel suo lavoro, vi appare come decisamente sottovalutata e messa in secondo piano, rispetto al raffronto fatto con i vari socialismi reali ancora presenti sulla scena politica degli Anni 60 del Novecento, [8] quando fu dato alle stampe il testo. Pur senza misconoscere il lavoro svolto da Gregor, Emilio Gentile, partendo invece dai risultati del suo illustre mentore, Renzo De Felice, che aveva interpretato il Fascismo come il prodotto dell’affermazione politica interclassista dei nuovi “ceti medi emergenti” alla fine della Prima Guerra Mondiale, in opposizione tanto alla vecchia classe dirigente liberale conservatrice quanto al proletariato imbevuto di retorica classista marxista, [9] ha sostenuto che l'ideologia fascista non può essere considerata la meccanica traduzione di un modello concettuale, e quindi non può essere analizzata come se fosse una teoria politica ma deve essere studiata ricostruendo gli aspetti organizzativi legati alle inizia­tive del Partito fascista, quelli istituzionali relativi alle attività del governo e del Regime e quelli più propriamente culturali in quanto espressioni di un fenomeno unitario. Nei suoi lavori l’ideologia fascista viene descritta come una nuova sintesi del pensiero politico, che ebbe le sue origini nel radicalismo nazionale sviluppatosi dall'inizio del secolo che fu alimentata dai nuovi miti della Gran­de guerra: una nuova ideologia anti-ideologica, che rifiutava il primato della ragione nella storia e le tradizionali categorie del pensiero politico e considerava la politica un'esperienza integrale dell'uomo per trasformare se stesso: un'ideologia al cui fondo vi era «la più completa razionalizzazione dello Stato totalitario».[10] Proprio a partire dal testo del 1975, continuando poi in tutti i suoi successivi lavori, egli ha sostenuto correttamente che l'ideologia fascista fu moderna, antimaterialista e totalitaria, in quanto orientata a creare l’uomo nuovo,prodotto della civilizzazione spirituale fascista, che a sua volta aveva la funzione di ridefinire in maniera originale i rapporti tra individuo e stato, celebrando il primato del collettivo sull’individuo e la funzione rivoluzionaria pedagogica del Partito fascista, promuovendo la politicizzazione integrale dell'esistenza individuale nell’ambito del peculiare Stato etico corporativo teorizzato dal Regime mussoliniano. Di più, egli afferma l’originalità e la specificità del Fascismo qualificandolo quale via italiana al totalitarismo, intendendo con ciò dare risalto alle condizioni storiche propriamente italiane nelle quali ebbe origine e si affermò l'esperimento fascista, negando, a ragione, che la qualifica di totalitario attribuitagli (ed autoattribuita da Mussolini allo Stato fascista!) significhi che esso fu totalitario allo stesso modo come lo furono il bolscevismo e il nazionalsocialismo, poiché per coglierne le singole caratteristiche, gli aspetti comuni del metodo totalitario usato da questi tre regimi vanno valutati nell'ambito delle loro specifiche individualità ideologiche, sociali, storiche e nazionali.[11] A differenza di quanto osservato da Gregor, che definisce la dottrina come insieme chiaro di precetti e miti politici ben definiti, Gentile preferisce invece una definizione d’ideologia quale coacervo di valori, frutto della varietà di componenti ideologiche presenti nel fascismo, soffermandosi in particolar modo sulla sua volontà di determinare anche un nuovo clima spirituale. Essa, a partire dal 1921, si sarebbe arricchita di una serie di temi che progressivamente acquisirono forza consolidandosi in un corpus ideologico, soprattutto grazie al controllo esercitato da Mussolini, successivamente coadiuvato dal P.N.F., che portò ad una sostanziale coerenza della dottrina fascista, ma che tuttavia, sempre secondo Gentile, non ebbe mai un aspetto monolitico a causa della permanenza nel P.N.F. delle differenze tra orientamento autoritario, rivoluzionario e totalitario. Zeev Sternhell, a sua volta, qualifica il Fascismo come un ideale rivoluzionario, maturato lentamente nel corso del quarto di secolo che precede lo scoppio della Grande Guerra, il rappresentante della sintesi tra “nazionalismo organico” e “revisione antimaterialistica” del marxismo, già iniziata in Francia alla fine dell’800 dal teorico sindacalista Georges Sorel e proseguita ai primi del 900 dai sindacalisti rivoluzionari italiani; una concezione che, secondo il professore israeliano, presa nel suo insieme costituisce un tutto coerente, logico e ben strutturato, incentrato primariamente sul rifiuto più netto del materialismo, ovvero dell’eredità razionalistica, individualistica e utilitaristica dei secoli XVII e XVIII, che sta alla base tanto del marxismo quanto del liberalismo. Siffatta visione del mondo mette in dubbio non soltanto la dottrina dei diritti naturali e quella del primato dell’individuo, ma tutte le strutture istituzionali della democrazia liberale. Secondo Sternhell, l’aspetto che caratterizza la modernità del Fascismo risiede nella pretesa di cancellare gli effetti più disastrosi della modernizzazione del continente europeo, rimediando alla frammentazione della comunità in gruppi tra loro antagonisti, all’atomizzazione della società, all’alienazione dell’individuo, ormai diventato niente più che una merce gettata sul mercato. La rivoluzione fascista ha come obiettivo un mutamento radicale ed essenziale dei rapporti intercorrenti fra l’individuo e la comunità, senza che ciò implichi necessariamente la rottura del motore stesso dell’attività economica – la ricerca del profitto – o l’abolizione del suo fondamento – la proprietà privata – oppure la distruzione del suo quadro necessario – l’economia di mercato. Essa si leva contro la disumanizzazione introdotta dalla modernizzazione nei rapporti tra gli uomini, ma pretende di conservare gelosamente, nel contempo, i benefici del progresso, senza mai caldeggiare il ritorno al passato, ad un’ipotetica età dell’oro,[12] essendo stato il Fascismo, secondo i teorici del Regime, un fenomeno storico tipicamente moderno, come Mussolini, il suo fondatore, era stato la sintesi della vita e dell'anima moderna,[13] sebbene di un tipo assolutamente originale.  Principalmente grazie al lavoro di questi tre studiosi, sembrerebbe ormai unanimemente accolta, almeno dalla maggior parte della comunità scientifica nel campo della ricerca storica, l’esistenza di una specifica ideologia nel movimento mussoliniano, identificato come il primo esempio europeo di nazionalismo rivoluzionario e totalitario. Rimarrebbe, invece, ancora da chiarire la questione del suo presunto carattere ideologico frammentario, cioè di quella che Piergiorgio Zunino nel 1985 ha definito come l’impossibilità di limitarne i confini e di definirne con chiarezza i contenuti, a causa delle innumerevoli fonti che avevano contribuito alla sua elaborazione, sebbene egli stesso abbia ammesso che tale aspetto, stranamente, non compromise la solidità del Regime, pur attribuendo all’ideologia fascista un carattere multiforme e confuso. [14] Come è già stato rilevato correttamente, Zunino aveva intuito, nel tentativo di inquadrare la dottrina quale modello concettuale delineante i caratteri salienti dell’homo ideologicus fascista, uno dei problemi fondamentali nella ricostruzione dell’ideologia, poiché riteneva necessario separare lo studio del suo sviluppo dall’analisi delle origini culturali del Regime, presumibilmente al fine di non confondere le cause con gli effetti. [15] Tuttavia, negli anni successivi, tale intuizione, collegata alla constatazione sulla “sorprendente” tenuta ideologica del Regime, nonostante la pluralità delle fonti culturali confluite nel movimento fascista, non è stata adeguatamente approfondita, tanto da Zunino quanto dalla storiografia accreditata in ambito accademico, almeno fino al contributo portato da Alessandra Tarquini nel 2011 col suo saggio, breve ma significativamente denso di contenuti, sulla Storia della cultura fascista. In poco più di 200 pagine la studiosa vi affronta di petto, tra le molte altre, anche la questione fondamentale inerente su quale fosse il progetto politico fascista incentrato sull’ideologia dello stato totalitario, dimostrando indiscutibilmente che, nonostante alcune pur presenti conflittualità tra gli elementi di maggior prestigio della cultura fascista, tutti i suoi rappresentanti più eminenti si riconoscevano senza dubbi nel Fascismo, quale movimento spirituale totalitario, prodotto dal “genio politico” mussoliniano e profondamente permeato di religiosità. Così come tutti ne identificavano l’essenza politico-ideologica nella missione di costruire lo Stato etico corporativo e l'Uomo Nuovo fascista: Dal 1922 al 1943, i fascisti cercarono di creare uno Stato nuovo, all'interno del quale le masse avrebbero dovuto essere organizzate gerarchicamente; tutte le componenti della società, dell'economia, della cultura sarebbero state private della loro autonomia; e tutte le istituzioni, le nuove come quelle ereditate dall'Italia liberale, sarebbero divenute sue articolazioni, subordinate alla realizzazione dei suoi fini generali, cioè all'infinito accrescimento della sua potenza. Negando l'esistenza di diritti individuali e di gruppi sociali in grado di limitare il potere dello Stato, i fascisti pensavano di fondare una nuova civiltà, basata appunto sul mito dello Stato. Alla elaborazione di questo mito e alla sua diffusione diedero il loro contributo soprattutto Giovanni Gentile e Alfredo Rocco, e in misura diversa Sergio Panunzio e Carlo Costamagna. […]Gli ideologi del fascismo erano concordi nel sostenere che la dottrina politica di cui erano sostenitori si fondava sul mito dello Stato e sul suo primato all'interno del regime. Dal 1922 al 1943, infatti, tutti loro sostennero che lo Stato fascista non sarebbe stato ostacolato da nulla: né individuo, né gruppo, né istituzione, niente avrebbe potuto ledere il suo potere illimitato. […] ciascuno di loro era convinto che lo Stato fascista, in quanto Stato, avrebbe dovuto realizzare se stesso subordinando qualunque fine alla propria volontà. E infine tutti espressero una concezione religiosa della politica fondata sul mito dello Stato, come più volte abbiamo sottolineato: tutti si riconobbero in un comune sentimento, quello che alimentava un'idea e un'esperienza della politica intesa non più, o non solo, in termini tradizionali come progetto da realizzare per trasformare la realtà, ma come una fede che celebra lo Stato. Questo spiega perché dal 1922 al 1943 gli autori che abbiamo ricordato non misero mai in discussione la fede nel fascismo, convinti di partecipare alla costruzione di una nuova civiltà: chiamati dal regime a dare il proprio impegno, orgogliosi di essere intellettuali al servizio della politica, consideravano le diverse posizioni teoriche come un aspetto della politica e della cultura fascista e si battevano, come gli altri intellettuali, per affermare la propria posizione di teorici dello Stato fascista. [16] Proprio da tali imprescindibili constatazioni sarebbe orami auspicabile che prendesse le mosse qualsiasi serio tentativo di analisi sul pensiero politico fascista. Appare indubbio, infatti, che tra gli iscritti al P.N.F. figurarono personaggi provenienti dalle più differenti tradizioni politiche e culturali: socialista, repubblicana, anarchica, nazionalista, liberale, monarchica, combattentistica, idealista, futurista, cattolica etc. Tuttavia, risulta un grave errore interpretativo tanto l’avere valutato l’ideale codificato nella Dottrina del 1932 (sebbene i suoi principi costituissero patrimonio ideologico degli elementi di spicco della dirigenza politica e culturale del Partito fascista ben prima di tale data) quale sistema di idee improvvisato e posticcio, quanto il considerarlo solamente come “frutto d’importazione”, quasi un prodotto della semplice somma disordinata e conflittuale di precedenti istanze culturali e sociali, come un residuo retaggio ormai cristallizzato, frutto dei trascorsi ideologici prefascisti dei membri del P.N.F. e dunque non come il genuino risultato di una diversa, nuova, e originale concezione filosofica, negando con ciò il mutamento di valori e prospettive politiche avvenuti rispetto al passato con l’avvento del Partito fascista, ovvero, sconfessando l’autonomia ideologica di quest’ultimo. Giovanni Gentile, già nel 1925, esprimeva autorevolmente al riguardo un’idea affatto diversa e di sicuro più rispondente alla realtà storica dei fatti, affermando di rappresentarsi il Fascismo come …una struttura fondamentale, un nucleo, che è un'idea viva, e quindi una direzione di pensiero, un'ispirazione e una tendenza, in cui gli spiriti si incontrano e s'affiatano e partecipano a una stessa vita tanto più vigorosa e possente quanto maggiore il numero di quelli che vi concorrono; e intorno a quel nucleo, per germinazione spontanea dei tanti semi di pensiero che nella storia si vengono ad ora ad ora maturando, un fiorire svariato di riflessioni e sistemi, che sono nuovi organi onde l'organismo centrale s'irrobustisce accogliendo e appropriandosi dall'atmosfera, in cui esso vegeta e vive, sempre nuove energie. In quel nucleo è l'unità e la fede. Lì è l'essenziale, la radice della vita e della forza. Io vengo al fascismo dagli studi, dalla storia, dalla filosofia. Altri dall'arte. Altri dallo squadrismo della lotta politica quotidiana. Altri dalla polemica del giornalismo. Altri dall'arte del giuoco parlamentare. Altri da altre origini. Ognuno con la sua anima, con la sua cultura, le sue abitudini, la sua vita, la sua personalità. Ma tutti giungono allo stesso punto, e s'incontrano tutti sulla medesima via: che è la via in cui oggi il fascismo viene combattendo la sua bella battaglia in Italia e nel mondo per dare una sua forma allo Stato, e attraverso lo Stato a tutto lo spirito.[17] In tal senso, parlare di scuole di pensiero, di pluralità di dottrine, appare allora come un macroscopico fraintendimento culturale che non corrisponde alla realtà dei fatti storici. Infatti, i principali teorici del Fascismo, su tutti Gentile, Rocco, Costamagna e Panunzio, che svolsero insieme a Mussolini il compito di illustrare i contenuti filosofici e gli obiettivi politici della “rivoluzione delle camicie nere”, manifestarono sempre la loro consapevolezza di un nucleo fondamentale d’idee e la loro adesione ad esse, le stesse che poi sarebbero state enunciate nella Dottrina firmata dal Duce, ma questo ben prima che essa venisse ufficialmente pubblicata. Così come Gentile, infatti, anche Rocco nel 1925 aveva affermato: È vero. Il fascismo è anzitutto azione e sentimento, e tale deve rimanere. […] Ma il fascismo è anche pensiero e dottrina. Dottrina, che è parte essenziale del fenomeno fascista, e a cui deve farsi risalire, in non piccola parte, il merito del suo successo. […] Ed alla esistenza di una dottrina organica e coerente il fascismo, il quale come movimento e come azione, è fenomeno tipicamente italiano, deve il suo valore universale.[18] Nella seconda edizione riveduta e ampliata edita nel 1940 della sua “summa ideologica” intitolata significativamente Dottrina del Fascismo, il giurista Carlo Costamagna specificava che le fonti della dottrina si potevano classificare in tre tipi : a ) gli scritti e i discorsi del fondatore del Fascismo, che in alcuni casi come quello della Dottrina del 1932 avevano valore dogmatico; b) gli atti politici e legislativi del regime; c) le opere di trattazione scientifica e letteraria. Riguardo l’ultimo tipo riportato nella sua classificazione, in quella che definiva come “bibliografia ortodossa”, egli vi annoverava anche il terzo volume della raccolta degli scritti di Alfredo Rocco intitolato La trasformazione dello Stato e il volume Teoria generale dello Stato fascista di Sergio Panunzio. [19] Ed è precisamente dall’utilizzo di tali fonti (nel caso di Giovanni Gentile risultano molto importanti sia il primo scritto datato 1925, che l’ultimo del 1941, dedicati espressamente al Fascismo dal filosofo siciliano,[20] mentre in quello di Carlo Costamagna, oltre al testo summenzionato, anche le voci scritte nel 1940 per il Dizionario di Politica del P.N.F. dedicate al, Capo del Governo, al Corporativismo, alla Teoria delle Funzioni, al Governo, alla Nazione, all’Ordinamento sindacale corporativo, al Regime, alla Razza, allo Stato,[21]), che è possibile rintracciare la reciproca contiguità ideologica tra i documenti dottrinali di questi autori, per i quali, indiscutibilmente, l’essenza del Fascismo è rappresentata dallo Stato fascista. Tale Dottrina, necessariamente coniugata al singolare, verosimilmente non era percepita affatto dalla cultura ufficiale del P.N.F. come un insieme confuso di idee contrastanti, o peggio come quella unione caotica e indiscriminata di istanze disparate e frammentarie in conflitto reciproco, di cui si è scritto per decenni in ambito storiografico, bensì come un'ideale coerente ed organico, incentrato sul mito dello Stato Nuovo fascista, che negli anni del Regime fu condiviso ufficialmente da tutti coloro che, in special modo le giovani leve, aderirono sinceramente ai “miti politici” propagandati dal Partito Nazionale Fascista. [22] La peculiarità di questa Dottrina risiede nel fatto che essa riassumeva una specifica, autonoma e rivoluzionaria visione del mondo, tanto originale quanto unica nel panorama politico europeo e internazionale; quella che i fascisti definirono come NUOVA CIVILTA’ DELLO SPIRITO. Era proprio questo il reale significato che i fascisti attribuivano ufficialmente alla loro rivoluzione: Che la rivoluzione avesse dovuto e dovesse mirare a creare non solo istituti e leggi ed opere più rispondenti alle esigenze degl’Italiani ed ai fini politici sociali e civili che il Fascismo segnava alla nazione; ma soprattutto a creare una coscienza di quei fini, un ideale vasto e diffuso onde proprio quegli stessi fini si giustificassero, anzi scaturissero, è per più ragioni evidente. In realtà mal si sarebbe potuto chiamare rivoluzione una semplice trasformazione di leggi, e nessuno o scarso significato avrebbe avuto la parola « regime », che più che governo od ordinamento vale spirito che anima uomini e cose di un certo periodo storico nazionale. D’altro lato la rivoluzione, anche nelle sue origini, non aveva mai tradito, nonostante talune sue apparenze pragmatistiche, un intimo contenuto tutto ideale, una sua fede, che si richiamava alle coscienze degli Italiani, e che nelle stesse sue manifestazioni tipiche rivelava motivi quasi trascendentali o mitici, che tuttavia non s’esaurivano nel richiamo di valori tradizionali, ma s’esprimevano come forza, volontà, capacità di rifare temperamenti, caratteri, mentalità di quegli Italiani e soprattutto delle nuove generazioni. Insomma la rivoluzione doveva e voleva penetrare negli spiriti e nelle coscienze, essere in primo luogo una trasformazione dei modi di concepire vita e mondo e cioè una trasformazione di civiltà.[23] Si può anzi affermare che l’originalità della Dottrina del Fascismo risieda proprio nel suo voler rappresentare un NUOVO MODELLO DI CIVILTA’. Il Fascismo non vi era concepito, infatti, come “semplice” ideologia politica tra le tante, sia pur originale, bensì quale modello peculiare di una specifica Civiltà, Italiana e universale ad un tempo, che si ricollegava al proprio retaggio “romano”, senza rigettare nulla di ciò che storicamente nei secoli si era sviluppato culturalmente in modo armonico con tale patrimonio latino-mediterraneo.[24] Come ebbe ad affermare Panunzio …il nostro sistema politico costituzionale è un sistema piramidale, al cui vertice supremo abbiamo il Capo dello Stato, mentre alla base abbiamo il popolo organizzato socialmente, su basi rappresentative, nei Sindacati e nelle corporazioni, e politicamente, sempre su basi rappresentative, nel Partito Nazionale Fascista che è una grande istituzione di diritto pubblico, aperta selettivamente a tutti, senza esclusioni e distinzioni di ceti, di categorie, e di religioni, dal più umile manovale al più alto magistrato e gerarca economico o politico, vera istituzione, democratico-aristocratica, che rappresenta il meglio delle forze della Nazione, e cioè coloro che più vivo ed energico hanno il sentimento dello Stato. […] Non è vero che il Fascismo sia antiuniversale ed antinternazionale. Tutto al contrario, esso è essenzialmente universale, e senza universalità cadrebbe la sua più profonda storica e spirituale essenza e natura. La parola d'ordine di oggi, in tutto il mondo, è appunto l'universalità del Fascismo e la persuasione di ciò vive e si diffonde ogni giorno che passa, in Europa, in America, in Asia. Mosca cade di fronte alla luce che si sprigiona da Roma. L'internazionale comunista non parla più agli spiriti; è morta. Siamo all'insorgere e al progressivo affermarsi dell'Internazionale fascista, che porta con sei valori della misura, della saggezza, dell'armonia, della sintesi, che furono propri già di Roma e dell'universalismo imperiale romano. [25] Ecco perché il regime di Mussolini non può essere catalogato in modo corretto unicamente come nazionalismo classico,[26] né quale semplice variante di esso, sia pure rivoluzionaria e progressista in virtù della sua manifesta capacità di coinvolgere le masse e promuoverne lo sviluppo, come è tutt’oggi sostenuto nelle interpretazioni prevalenti in ambito accademico.[27] Men che meno può essere classificato, come ugualmente sostenuto tanto da Emilio Gentile quanto, sulla scia dei lavori di quest’ultimo, da Roger Griffin, quale nuova religione politica inserita nell’ambito di una modernità totalitaria che avrebbe la caratteristica di assimilare ed espandere, nel quadro della nuova politica sviluppatasi nell’era delle masse, alcuni tratti delle religioni classiche, mirando però a sostituirle con una “nuova divinità”, lo Stato fascista per l’appunto, nella coscienza collettiva delle popolazioni tra le quali si era imposto; una nuova entità assurta al rango di mito politico cui tributare un nuovo “culto” che, a mezzo di una propria ed autonoma liturgia politica, avrebbe teso ugualmente a ridefinire il significato della vita e il fine ultimo dell'esistenza umana in modo concorrenziale e nettamente antitetico rispetto alle cosiddette “religioni rivelate” (cristianesimo, ebraismo ed islam), un aspetto questo che, secondo tale spiegazione, finirebbe per livellare sul piano politico tutti i regimi totalitari novecenteschi. [28]

Contributo personale.

 

Nel tentativo di superare l’evidente parzialità di tutte le pur autorevoli interpretazioni fin qui osservate, ognuna certamente in grado di osservare alcuni aspetti importanti dell’ideale fascista, ma nessuna in grado di coglierne la “visione organica complessiva”, a partire dal 2006 – 2007 mi sono cimentato nel tentativo di arrivare ad una precisa definizione dell’identità politica fascista, avvalendomi direttamente ed esclusivamente delle fonti ideologiche primarie, col fine di pervenire ad una precisa definizione dei tratti teorici fondamentali di ciò che gli stessi fascisti consideravano come essenza della loro dottrina, convinto da una parte che l’approfondimento di tale aspetto originale costituisse la chiave di volta per poter definirne in modo razionale e corretto gli specifici caratteri culturali e politici, dall’altra che, in virtù di ciò, il Fascismo non fosse assimilabile ad altre esperienze politiche precedenti, coeve o successive e che dunque fosse scorretto parlare di “fascismi” al di fuori dell’esperienza politica attuata dal regime di Mussolini. Già al termine dell’indagine da cui nacque L’Identità Fascista,[29] in base a documenti ufficiali redatti dagli esponenti di spicco del Regime e/o pubblicati dal P.N.F. , era possibile concludere che il movimento politico mussoliniano ebbe un corpus ideologico tutt’altro che scarso o improvvisato. Una concezione della vita che, sebbene elaborata in una forma sistemica compiuta soltanto in una fase successiva alla nascita del movimento fascista, ebbe una dottrina chiara ed univoca, sempre coerente con i principi affermati fin dalle origini del suo travagliato percorso politico. Un’ideologia capace di caratterizzarlo in senso moderno e rivoluzionario attraverso una specifica identità totalitaria di tipo sindacalista, nazionalista ed interclassista, incentrata sul concetto cardine dello Stato etico corporativo, che non è possibile ricondurre culturalmente a matrici di tipo tradizionalista o conservatore. Parafrasando quanto scritto in una delle voci del Dizionario di politica, edito a cura del P.N.F. nel 1940: “Il fascismo, infatti, non ignorando la giustizia sociale ( in quanto regime di collaborazione delle varie forze della produzione ) ne dava una interpretazione realistica e la concepiva nei termini di una riduzione graduale delle distanze fra le classi all’interno di uno stato nel quale “ il popolo fascista non vede un distributore di beni materiali, ma un valore ben più alto e sublime: una manifestazione dello spirito, un assoluto di volontà e di potenza, il portatore della civiltà del secolo nuovo.” Esso ebbe, insomma, un proprio punto di vista sui fini politici da perseguire e realizzare, sui mezzi da utilizzare in relazione a tale scopo, ma soprattutto ebbe la volontà di attuarli come pure, anche se solo in parte, la forza di raggiungerli. Nel corso degli anni tali convinzioni sono state ulteriormente rafforzate in me dai numerosi riscontri verificabili nella sempre più ampia documentazione fascista che ho potuto visionare personalmente, grazie alla quale mi è stato possibile sostenere ragionevolmente quanto segue:

 

1) Il Fascismo fu un movimento politico totalitario moderno, alternativo tanto al liberalismo quanto al marxismo-leninismo, con una dottrina originale ed articolata, capace di esprimere un rivoluzionario progetto ideale, sociale ed economico, graduale nella sua realizzazione e permanente nel proposito di tenere desta la coscienza rivoluzionaria del popolo.

2) Tale nuova dottrina non era assimilabile né riconducibile alle categorie tradizionali di “destra” o di “sinistra”, poiché esprimeva un modello spirituale fortemente unitario del corpo politico e sociale nazionale. Un modello nel quale la Nazione doveva necessariamente e consapevolmente riconoscersi totalmente nell’azione politico-legislativa di mobilitazione delle masse promossa dallo Stato etico corporativo, all’interno del quale non erano ammesse divisioni né conflitti interni di sorta, poiché esso stesso considerato un principio naturalmente immanente allo spirito di ogni cittadino realmente libero da vincoli materialistici di sorta.

3) L’essenza ideologica di tale concezione era riconducibile ad una evoluzione di stampo etico-idealistico del pensiero socialista e nazionalista, contrapposta sia al materialismo di matrice marxista che a quello liberale e tradotta in pratica nella dottrina sociale corporativa espressa dallo Stato etico totalitario fascista; che a sua volta sviluppava un concetto politico spirituale e imperiale di portata  universale, le cui radici culturali e filosofiche attingevano in profondità al tessuto storico italiano ed europeo.[30]

4) Obiettivo dello Stato etico fascista era quello di far nascere, a mezzo di un processo pedagogico educativo indotto dall’alto, l’« Uomo Nuovo » del Fascismo, cioè un uomo integrale, « politico, economico, religioso, santo e guerriero », che non intende l'esistenza umana se non come lotta in nome di principi etici superiori e per l'affermazione di motivi eminentemente spirituali. Lo Stato fascista diviene così l'espressione più alta e potente della personalità, la forza che ne promuove tutte le manifestazioni etiche, affermando chiaramente l'identità tra lo stato e il popolo e la trascendenza dei fini dello stato su quelli degli individui divisi o raggruppati che vivono in esso. Lo stato, in quanto popolo, risulta essere così l'organismo etico per il quale si può riorganizzare la vita dello spirito nella sua pienezza. Tale modo di concepire la società e lo Stato è fondato sull’apertura al trascendente, motivo per cui il Fascismo viene ugualmente definito nella Dottrina come “concezione religiosa”. Nella concezione dello Stato fascista però, a differenza che nello Stato etico di Hegel, dove lo Stato e Dio coincidono, l’individuo è invece considerato un essere pensante, attivo e volitivo, una volontà in perenne rapporto con DIO (quello del “Vecchio e del Nuovo Testamento”), che non è annullata da alcun “dio-Stato”, poiché la medesima assolutezza conferita dal Fascismo al valore dello Stato ed alla sua autorità, non si comprenderebbe senza relazione a un Assoluto divino. Dunque, nell'orizzonte politico del Fascismo vi è la volontà politica di realizzare sulla terra l'armonico collettivo all'insegna dell’ordine e della giustizia presenti nelle leggi che regolano l'universo e che promanano da DIO stesso. [31]

A corollario di tale descrizione, inoltre, sono emersi alcuni dati che hanno permesso di concludere in modo definitivo come non sia possibile riconoscere quali “assimilabili ideologicamente” all’esperienza storica fascista, gruppi o movimenti politici della Destra moderna, radicale o moderata, i quali invece nell’immaginario collettivo vengono spesso arbitrariamente accomunati ad esso. Il fascismo mussoliniano si qualificava al contrario come un quid di assolutamente differente ed originale, i cui programmi e la cui dottrina non sembrano oggettivamente trovare riscontri, tanto a “destra” quanto a “sinistra”, nella passata come nell’odierna cultura politica materialista liberal-democratica, tutta incentrata sui valori dell’individuo, del parlamentarismo e della partitocrazia. Di fatto, il termine “fascista”, dopo essere stato svuotato dei suoi veri attributi ideologici al termine della Seconda Guerra Mondiale, ha finito per assumere stabilmente il significato negativo che i suoi avversari politici gli hanno attribuito già in passato; paradossalmente anche per il cosiddetto “neofascismo”, che però ha caricato polemicamente di una valenza positiva tali caratteristiche, finendo così col legittimare e perpetuare la divisione politica del corpo sociale tra partiti di “destra” e “sinistra” (in aperta antitesi con quanto formulato invece nella visione totale e unitaria della società espressa nella Dottrina ufficiale del Regime) e in definitiva divenendo esso stesso parte integrante della democrazia antifascista.[32] Ciò premesso, nel proseguire ulteriormente la ricerca sugli aspetti salienti dell’identità fascista, utilizzando senza pregiudizi le fonti ideologiche e valutando la prospettiva interpretativa da esse adottata, mi pare sia finalmente giunto il momento di osservare in modo diretto il contenuto dei precetti dottrinali del Fascismo codificati ufficialmente nel 1932 da Mussolini, al fine di verificarne successivamente la presenza nei contributi ideologici alla costruzione dell’immagine dello Stato fascista portati dagli altri teorici accreditati del Regime.

 

Il contenuto della Dottrina del Fascismo.

 

La Dottrina del Fascismo costituisce il documento politico cardine del pensiero filosofico fascista, dove sono fissati ufficialmente i capisaldi ideologici stabiliti dal P.N.F. Comparve per la prima volta nel 1932 sull'Enciclopedia Italiana, inserita nella voce Fascismo. Successivamente, ne vennero realizzate ulteriori edizioni, in Italia e all'estero. Divenuta anche materia di studio nelle scuole superiori italiane, rimase sempre invariata nel contenuto, venendo arricchita di note esplicative ed altri documenti attinenti le realizzazioni politiche del Partito Nazionale Fascista, che attestavano l'applicazione concreta da parte dello Stato italiano dei principi dottrinali enunciati in essa. Come personalmente già rilevato nel testo del 2007 [33], Mussolini nella stesura della Dottrina non aveva fatto altro che riordinare principi morali, politici e sociali più volte ribaditi negli anni precedenti. L’anti-intellettualismo ed il pragmatismo politico manifestati dal capo delle camicie nere, non debbono dunque trarre in inganno, poiché costituivano essi stessi una espressione culturale e non già un rifiuto della cultura tout court.[34] I fascisti più avveduti, a cominciare dal Duce, affermarono sempre che la loro rivoluzione, realisticamente, non faceva questioni di metodo ma di principio; Alfredo Rocco nel 1925 aveva sottolineato al riguardo che… “il fascismo non fa questione di mezzi, e questo spiega come possa, nell'azione pratica, applicare volta a volta il metodo liberale, il democratico e il socialista, prestando il fianco alla critica di incoerenza degli avversari superficiali. Il fascismo fa questione di fini, e pertanto anche quando adopera gli stessi mezzi, proponendosi un fine profondamente diverso, agisce con spirito diverso e con diversi risultati”.[35] In quanto “sistema politico” costituiva un “sistema di valori” e proprio dell’esigenza di una necessaria sistematizzazione di tali principi ideali le alte gerarchie del Partito fascista non fecero mai mistero[36], giacché, come aveva sostenuto il capo del Fascismo ben prima della “Marcia su Roma” ... Attrezzare il cervello di dottrine e di solidi convincimenti non significa disarmare, ma irrobustire, rendere sempre più cosciente l'azione. […] Il Fascismo può e deve prendere a divisa il binomio mazziniano: « Pensiero e Azione. » [37] I capisaldi, enunciati agli albori del movimento, vennero più volte ribaditi in forma telegrafica negli articoli e nei discorsi di Mussolini, che già nel 1924 affermava in proposito: ... non vi è nessun movimento politico che abbia una dottrina più salda e determinata della dottrina fascista. Abbiamo delle verità e delle realtà precise dinanzi al nostro spirito e sono: lo Stato, che deve essere forte; il Governo, che deve difendersi e difendere la Nazione da tutti gli attacchi disintegratori; la collaborazione delle classi; il rispetto della religione; la esaltazione di tutte le energie nazionali. Questa dottrina è una dottrina di vita, non una dottrina di morte. [38] Anche altri esponenti di spicco del mondo culturale fascista, ad esempio Gentile e Rocco, negli Anni 20 fornirono alcuni importanti contributi finalizzati ad enunciare l’essenza politica del Fascismo, ma fu proprio in occasione del “decennale” della rivoluzione, che vide la luce il compendio ufficiale tanto atteso. Sebbene questo risulti firmato esclusivamente da Mussolini, nella prima parte denominata Idee Fondamentali fu redatto insieme al filosofo Giovanni Gentile, a differenza della seconda, intitolata Dottrina politica e sociale e curata esclusivamente dal Duce. Tra le numerose edizioni della Dottrina del Fascismo pubblicate in quegli anni, merita particolare attenzione quella di cui mi sono avvalso per sintetizzarne i contenuti politici e filosofici, poiché redatta per le scuole superiori italiane, dunque realizzata con evidenti intenti pedagogici e provvista proprio dei requisiti di chiarezza e sintesi necessari per una migliore comprensione da parte degli studenti a cui era rivolta, che tornano ugualmente utili nella presente ricerca. Stampata nel 1942, tale trasposizione costituisce probabilmente l’ultima e più esaustiva edizione ufficiale pubblicata durante il Regime;[39] vi è sviluppata una breve ma articolata analisi del testo mussoliniano in forma di note dichiarative, ognuna dedicata a ciascuno dei 13 paragrafi presenti rispettivamente nei due capitoli in cui è suddivisa la Dottrina; nella parte dedicata alle Idee fondamentali, il discorso verte necessariamente sui principi morali e la particolare visione filosofica dell’Uomo e del Mondo dai quali scaturisce l’azione politica fascista: …“ Primo intento è di rivendicare all'azione del Fascismo un contenuto dottrinale, sorto dal contrasto delle forze culturali, economiche, sociali del tempo, delle quali bisogna tener conto, perché si agisce con esse e su di esse, ma inspirandosi a un ideale superiore alle contingenze, che segna il criterio morale da seguire. Quest'ideale risulta dalla concezione che si ha della realtà e della vita: concezione che è necessaria anche in una dottrina politica, perché sia da essa giustificata e si possa riconoscerne lo spirito e apprezzarne il valore. (§ 1). La concezione del mondo e dell'uomo, che il Fascismo fa sua, è una concezione spiritualistica. Vero valore ha, per esso, la realtà spirituale, propria dell'uomo; non il mondo materiale e nemmeno l'uomo, considerato come puro essere naturale. Per il Fascismo il mondo conta solo per la vita dello spirito, cioè per la coscienza e la volontà umana, e l'uomo singolo ha valore soltanto per il concorso che porta all'attuazione degli ideali eterni e universali dello spirito. In tale vita dello spirito, che non è divisa materialmente, come lo è l'esistenza delle cose della natura, ma condivisa, l'individuo, che vi partecipa, è come se vivesse, moralmente, tutta quella vita: qui, pertanto, l'uomo del Fascismo è inteso quale « nazione e patria, legge morale che stringe individui e generazioni in una tradizione e in una missione... ». (§ 2). Non era questa la concezione naturalistica della vita umana, invalsa nella seconda metà dell'Ottocento e che, culturalmente, aveva avuto la sua principale espressione nel Positivismo: filosofia scientifica, che poteva contribuire ad appagare la mente, ma non valeva a soddisfare i profondi bisogni dell'animo; poneva, infatti, nella natura il centro di gravità dei valori, cioè fuori dello spirito umano. Da qui le conseguenze funeste per la vita morale dell'individuo e della società, non compensate dal progresso delle condizioni materiali della vita. Antipositivistico per la sua concezione della realtà, il Fascismo è, però, positivo al sommo grado. Anche lo spiritualismo, male inteso e male praticato, può generare fiacchezza e passività di vita; ma lo spiritualismo del fascista vuol essere attività, lotta, conquista, attuazione a oltranza di quegli ideali di bene, di giustizia, di grandezza, di ordine, di solidarietà sociale, ecc., che sono, appunto, i valori dello spirito. Mezzi capitali: cultura e lavoro. (§ 3). Posto in tal modo il criterio di giudizio, risulta evidente il carattere etico della concezione fascista della vita e ne deriva in pieno la conseguenza che ogni atto umano, sia pensiero che opera esteriore, rientra nell'ambito della valutazione morale. Siamo lontani dall'intendere la vita come godimento egoistico o come ozio e indifferenza. (§ 4). Portato in questa sfera di valori, il senso fascista della vita diventa religione: una religione del dovere, non però fondata in un'orgogliosa e illusoria autonomia umana, ma su una giustificazione di carattere oggettivo e di riferimento trascendente. Qui soccorre la concretezza della concezione spiritualistica mussoliniana, fatta di pensiero italico e cristiano, per il quale la realtà dello spirito, nella sua assolutezza, è realtà trascendente e, come principio di dovere, è Volontà oggettiva. Per questo motivo il Fascismo attua una politica religiosa, non inspirata a sole esigenze di governo, ma rispondente, in primo luogo, al proprio sistema di pensiero. (§ 5). Quanto precede spiega facilmente ciò che è detto in seguito, dove alcune espressioni, che possono avere, prese per sé, un significato troppo esclusivo, ricevono conveniente interpretazione, viste alla luce delle affermazioni già fatte. Il dire, ad es., che « fuori della storia l'uomo è nulla » è ribadire, con formula energica, la già affermata esigenza unitaria, solidale e progressiva della vita dello spirito. Poi è messa maggiormente in rilievo la concezione storicistica della vita umana, individuale e sociale; come pure è messa in rilievo la non accettazione, pragmatica, del concetto teleologico, ossia finalistico, della storia, e si ripete la norma che il Fascismo trae la determinazione dei suoi propositi e del suo metodo d'azione dalla storia e dalla realtà sociale in atto. (§ 6). La già affermata « coincidenza » morale dell'individuo col tutto nazionale, di cui fa parte, porta ora Mussolini all'altra affermazione categorica che « per il fascista tutto è nello Stato, e nulla di umano o spirituale esiste e tanto meno ha valore, fuori dello Stato ». La trattazione conduce Mussolini a riferimenti interessanti e precisi, come quello all'individualismo proprio del liberalismo, alla conseguente concezione della libertà in astratto, all'opposta concezione fascista della libertà in concreto, perché sorretta e potenziata dallo Stato, il quale dà all'esistenza naturale dell'individuo la nuova e superiore realtà dell'uomo civile. (§ 7). Il paragrafo ottavo illustra ancor meglio il rapporto fra Stato e individuo, con la motivata condanna del socialismo, fautore della lotta di classe, con la condanna, in particolare, del sindacalismo classista, e con l'accettazione del sistema corporativo, che, conciliando gli interessi economici delle classi o, per meglio dire, delle categorie di cittadini nell'unità dello Stato, conduce all'attuazione anche di quegli scopi morali, che sono voluti dalla concezione spiritualistica della vita umana. (§ 8). Il Fascismo è, dunque, avverso tanto al « lasciar fare » dell'individualismo liberale quanto alla lotta di classe del socialismo, fondati entrambi sopra una teoria materialistica della vita. Se non vuole l' « atomismo » liberalistico, non vuole nemmeno l'assorbimento dell'individuo in un ingranaggio meccanico statale. Però, anche qui ritorna, per la solita esigenza etica pur della vita politica, il concetto della necessaria convergenza in una volontà unitaria statale delle volontà singole di quanti « dalla natura e dalla storia, etnicamente, traggono ragione di formare una nazione ». (§ 9). Per se stessa, la nazione costituisce già un'unità morale, ma solo lo Stato aggiunge alla consapevolezza (che può essere inerte o solo letteraria e ideale) dell'unità una volontà effettiva. Mussolini dice Stato, e preferisce questo concetto a quello di nazione, perché « non è la nazione a generare lo Stato », ma viceversa. E ciò si comprende, se si tiene presente la concezione della vita come attività, affermazione, positivo sviluppo. E' lo Stato che dà alla nazione un'esistenza effettiva, una volontà. Da ciò deriva anche la spiegazione della frase « Lo Stato, come volontà etica universale, è creatore del diritto ». (§ 10). Ne nasce una coscienza nazionale, che informa il pensiero e l'azione dei cittadini, così da risultarne una sola e potente forza spirituale, che è la vera « anima » dello Stato e il fondamento della sua « personalità » etico- giuridica e della sua storia. Il carattere di primato, anzi di assolutezza, della vita spirituale conduce Mussolini a usare le parole « universalità » e « infinità », a proposito della vita dello Stato, poiché questo, oltre ad avere il carattere, già da gran tempo riconosciutogli, dell'autonomia sovrana, deve tendere, per sua natura, a esercitare influenza nel mondo, facendo opera di civiltà; la qual civiltà non ha limitazione di termini, ma l'infinità e l'universalità dei valori morali. (§§ 11-13). [40] Il testo della seconda parte risulta più breve e scorrevole, poiché la descrizione passa dalle tematiche filosofiche a quelle storiche, attinenti sia il percorso politico sino ad allora svolto dal Fascismo che l’orizzonte di governo nel quale si sviluppava l’azione presente e futura dello Stato fascista. Vi si sottolinea che il movimento fascista … non è derivato da una dottrina elaborata in precedenza, ma dalla coscienza della necessità di un rinnovamento sociale e nazionale, maturata in Mussolini per lunga esperienza di lotte economiche e politiche. (§ 1). Principi dottrinali, tuttavia, si son delineati e accentuati fin dal periodo di violenta reazione ai sistemi di governo del tempo e di opposizione agli altri partiti politici. Prevalsa, poi, l'azione positiva e di rinnovamento, si sono andate rapidamente chiarendo e formando in corpo di dottrine anche le direttive di pensiero. (§ 2). Le linee fondamentali di tale sistema di pensiero abbiamo viste nell'esame del capitolo primo. In questo secondo, esse si ripresentano come criterio d'azione, come teoria in atto. Il Fascismo vi appare come forza combattiva e affermatrice, tendente al continuo superamento delle posizioni raggiunte. (§ 3). Vi si dimostra che il Fascismo svolge una politica demografica, perché il numero è forza, e perché molta forza occorre pel combattimento, che ha molteplici aspetti: bellico, economico, culturale. (§4). Perciò è anche necessario che la nazione sia un solo fascio di volontà e di opere, e che sia nettamente rivendicata la potenza creatrice dello spirito: quindi il Fascismo è contro la lotta di classe, contro il materialismo storico, contro la risoluzione del concetto di felicità in quello di benessere materiale : ciò che significa che il Fascismo è contro il socialismo. (§ 5). Ed è anche contro l'ideologia democratica, egualitaria, parlamentaristica; afferma l'esigenza che il governo della cosa pubblica sia affidato alla competenza, all'onestà, al merito; non fa questione di superiorità di monarchia o di repubblica, pronto però a riconoscere che esistono monarchie, che (come la Sabauda) sanno accogliere le più ardite esperienze politiche e sociali. (§ 6). La democrazia, che il Fascismo nega, è quella sorta dalla rivoluzione francese; non nega un sano regime di popolo, una democrazia organizzata, disciplinata, e raccolta intorno a un indispensabile Governo avente un'autorità piena e sicura. (§ 7). Per conseguenza, il Fascismo è contro le dottrine liberali, sia in economia, che in politica e in morale. (§ 8). Ciò non vuol dire che il Fascismo voglia ritornare all'assolutismo, anteriore alla rivoluzione francese; si vale, anzi, di quegli elementi delle dottrine e delle istituzioni socialistiche o liberali, che hanno ancora valore di vita. (§ 9). Ma ciò che il Fascismo vuol mettere bene in rilievo è il suo concetto dello Stato etico, gerarchico, totalitario, corporativo, atto a svolgere una vita piena e feconda di bene nel tempo presente e a porre sicure basi per un più grande avvenire. (§ 10). Deriva allo Stato, nel concetto fascista, una somma di compiti, che riguardano tutte le forme di attività nazionale e che solo esso ha potere adeguato, ed efficace, per adempiere. (§ 11). Anche nel campo della religione lo Stato fascista interviene, per sostenerla e difenderla, riconoscendone l'alto valore. (§ 12). Nella concezione fascista lo Stato è, dunque, volontà di potenza e d'imperio, secondo la tradizione romana e secondo la concezione spiritualistica del mondo e della vita, che Mussolini ha affermata nelle linee fondamentali della Dottrina. Così l'impero, oltre a essere inteso come realtà territoriale, militare, mercantile, è anche inteso come espressione di forza spirituale e morale. (§ 13).[41] Tale descrizione, esposta sinteticamente, corrisponde in modo completo alla “visione del Mondo” ufficializzata da Mussolini e fatta propria dal P.N.F., che possiamo definire come “ortodossia fascista”. La semplicità e l’immediatezza dei messaggi che esprime, permettono di coglierne con sicurezza i punti qualificanti, ovvero: l’affermazione di una idea eminentemente spirituale e dunque antimaterialista;  di una concezione religiosa e morale, attiva e volitiva, che pur ricollegandosi alla riflessione mazziniana nel coniugare Pensiero e Azione, viene qualificata come politicamente senza precedenti; un ideale che trova la sua massima espressione nello Stato etico fascista. Anzi, come sostenuto dal teorico e giurista Carlo Costamagna, poiché la dottrina del Fascismo si riassume nella dot­trina dello Stato-nazione, è proprio la definizione dello « Stato fascista », per come sintetizzata nel 1927 nel paragrafo primo della “Carta del Lavoro”, ad aver un valore decisivo nell'orientamento della dottrina stessa, riprendendone tutti i concetti dogmatici che identificano il nuovo « tipo » dello Stato italiano,[42] dai quali derivano i criteri di attuazione che interessano l'azione e l'organizzazione della comunità nazionale nel tipo dello stato totalitario fascista: La nazione italiana è un organismo avente fini, vita, mezzi di azione superiori per potenza e durata a quelli degli individui divisi o raggruppati che la compongono. E' una unità morale, politica ed economica, che si realizza integralmente nello stato fascista.[43] L’insieme di concetti fin qui brevemente esposti, nella sua pur scarna essenzialità, assume una connotazione niente affatto indefinita o improvvisata ma filosoficamente netta, omogenea e culturalmente originale, mostrando in modo evidente una palese discontinuità ideologica, nonché una evidente rottura sul piano dei valori morali, rispetto al panorama politico dominato dall’individualismo e dal materialismo rappresentati dal liberalismo e dal marxismo. Senza voler negare la presenza di influssi provenienti da altre tradizioni politiche, resta il fatto che, considerata nel suo insieme, la Dottrina del Fascismo rappresenta una assoluta novità. Del resto, Mussolini stesso ebbe a dire in proposito che “Il fascismo […] non è sorelianesimo di accatto. È cresciuto sociale nell’autonomia di una propria dottrina. Di una propria dottrina considerata non uno svago ma un diario della propria efficienza, una testimonianza su come distruggere i gravami che la civiltà del profitto fa pesare sull’intero occidente. Ci siamo dati una cultura, per porre in stato di propagazione totale quella nostra dottrina la cui semplicità non deve trarre nessuno in inganno. Abbiamo inventato la nostra ideologia, correndo il rischio, italianissimo, dell’improvvisazione. Non avevamo le spalle dottrinariamente coperte dalla voce, dalla filosofia, dei precursori. […] Siamo nati soli”.[44] Questi principi, assunti al rango di orientamenti ideologici fondamentali, costituiscono gli indispensabili riferimenti alla luce dei quali è possibile constatare quanto i contributi culturali in campo ideologico forniti anche dagli altri teorici del Regime, sia precedenti che successivi all’uscita della voce dottrinale ufficiale mussoliniana, fossero esattamente in linea con quest’ultima e come tra di essi vi fosse la necessaria ed indispensabile armonia e condivisione di fondo dei medesimi valori spirituali e politici.

DOCUMENTI IN APPENDICE:

 

Al fine di confrontare e dimostrare la reciproca complementarietà di valori politici presente negli scritti sulla concezione dello Stato Fascista dei teorici più importanti del Regime, allego alcuni estratti dai seguenti autori:

 

Giovanni Gentile, Che cosa è il Fascismo, (Ccf), Vallecchi, Firenze, 1925.

 

//   // , La filosofia del Fascismo, (Ff), in Italia d’oggi, edizioni deIl libro italiano nel mondo, Roma, 1941.

 

Alfredo Rocco, La dottrina politica del Fascismo,1925; in La formazione dello Stato Fascista, Scritti e discorsi politici (1925 – 1934), Milano, 1938, Giuffré, Vol. 3, pp. 1093 – 1115.

 

Sergio Panunzio, Lo Stato Nuovo, in Teoria generale dello Stato fascista, 2a edizione, Padova, 1939, pp. 1 – 85.

 

Carlo Costamagna, Dottrina del Fascismo, Parte Seconda, La definizione dello Stato, cap. III: La definizione reale, 2a ediz. Torino, 1940, Utet, pp. 117 – 161.

 

 

I ) Lo Stato fascista come volontà razionale assoluta anti-individualista.

 

Giovanni Gentile : “Dalla nostra mazziniana coscienza della santità della nazione, come realtà che si attua nello Stato, noi traiamo i motivi di quell'esaltazione che siamo soliti fare dello Stato. […] Lo Stato, rispetto almeno all'arbitrio individuale, deve stare: deve reggere, come qualcosa di fermo, saldo, incrollabile. Legge e forza: legge che si faccia valere e non ceda ogni volta che al singolo non piaccia o non torni a favore di questa o quella categoria. E perché sia questa forza, deve essere potenza, interna ed esterna: capace di realizzare la propria volontà. Volontà razionale, o ragionevole, come tutte quelle che possono non rimanere allo stadio di semplice velleità, ma tradursi in atto e trionfare; ma volontà che non ne può ammettere altre che la limitino. Quindi, volontà sovrana, assoluta. La volontà legittima dei cittadini è quella che coincide con la volontà dello Stato che si organizza e si manifesta per mezzo dei suoi organi centrali.” (Ccf)

 

Alfredo Rocco : “Per il liberalismo, la libertà è un principio, per il fascismo è un metodo. Per il liberalismo, la libertà è riconosciuta nell'interesse dell'individuo, per il fascismo è concessa nell'interesse sociale. O — in altri termini — per il fascismo l'individuo è fatto organo o strumento dell'interesse sociale; strumento che si adopera, finché serve allo scopo e si sostituisce, quando non serve. In tal modo il fascismo risolve l'eterno problema della libertà economica e dell'intervento statale, considerando l'una e l'altra come puri metodi, che possono essere volta a volta applicati o messi in disparte. Quello che si dice per il liberalismo politico ed economico, vale per la democrazia. La democrazia si preoccupa soprattutto del problema della sovranità e del suo esercizio. Anche il fascismo se ne preoccupa, ma lo pone in modo profondamente diverso. Per la democrazia, la sovranità è del popolo, cioè della massa dei viventi. Per il fascismo, la sovranità è della società, in quanto si organizza giuridicamente, ossia dello Stato. E noi sappiamo che altra cosa è il popolo, altra cosa è la società. […] Non solo dunque il fascismo respinge il dogma della sovranità popolare, per sostituirvi quello della sovranità dello Stato, ma ritiene che, degli interessi della società, l'interprete meno adatta sia proprio la massa popolare, perché la capacità di sollevarsi dalla considerazione dei propri interessi a quella dei grandi interessi storici della società, è dote rarissima e privilegio di pochi”.

 

Carlo Costamagna : “A tal fine, occorre ben fissare che la personalità dello Stato ha valore integrale e totalitario: intendendo così, prima di tutto, affermare che la reale esistenza dello Stato stesso ha valore « metagiuridico »; ossia che lo Stato è una realtà metagiuridica; vale a dire una realtà irreducibile agli schemi di una costruzione meramente intellettualista, condotta coi mezzi della logica giuridica. [...] MUSSOLINI ha detto: « Il popolo è il corpo dello Stato e lo Stato è lo spirito del popolo ». [...] il carat­tere morale della personalità dell'individuo emerge dal rico­noscimento della trascendenza della personalità dello Stato rispetto all'individuo; il che è quanto dire dal riconoscimento delle ragioni sociali dell'esistenza umana. [...] Possiamo ripetere col DE LA BIGNE: « Realtà incorporale, immateriale, invisibile, imponderabile, che non esiste se non nel mondo delle relazioni umane, ma realtà tuttavia...; realtà di cui non conosciamo l'essenza, come del resto non cono­sciamo l'essenza della vita, ma la concepiamo come la vita medesima e che è la causa di manifestazioni che noi possiamo percepire ». [...] D'altronde la esistenza, oltreché la consistenza, dello Stato ed in genere di una formazione sociale, non possono ottenersi senza la immanente attività degli individui, ancorché in certi casi lo Stato possa reclamare l'olocausto della loro stessa vita. Sicché la personalità dello Stato e la personalità dell'in­dividuo sono interferenti e interdipendenti, pur essendo di­stinte, sì da non potersi pensare l'una senza dell'altra e pur dovendosi riconoscere che la natura dello Stato è diversa da quella dei singoli che vivono in esso; senza di che lo Stato non potrebbe avere una « propria realtà », distinta da quella dell'individuo ed, anzi, di natura trascendente e sopraordinata a questa. Ne risulta che la dottrina fascista professa un concetto individualista, per altro corretto da una nozione morale della personalità, « quanto ai mezzi » di attuazione dello Stato, che sono dati dall'iniziativa individuale; mentre rifiuta ogni considerazione individualista « quanto ai fini » dello Stato che hanno valore organico e si riassumono nel bene comune della nazione”.

 

Sergio Panunzio : […] “Lo Stato fascista è — insieme — uno Stato monarchico e popolare; democratico e aristocratico; uno Stato sociale e politico, anzi uno Stato fortemente politico ossia governativo, appunto perché uno Stato fortemente ed organicamente sociale; uno Stato sindacale, perché costituito di Sindacati, e corporativo perché collegante e riducente ad unità di corpo sociale i Sindacati; sindacale perché corporativo e corporativo perché sindacale; uno Stato politico e giuridico insieme, in quanto che esso si svolge sempre nelle forme del diritto ed agisce secondo le leggi alle quali si sottopone e dalle quali è regolato; dico « Stato giuridico » e non « Stato di diritto », perché lo Stato fascista, essendo per definizione uno Stato politico, ossia etico, non si riduce, come lo Stato di diritto, che solitamente ma erroneamente si confonde con lo Stato giuridico, alla pura custodia e garanzia dei diritti privati dei cittadini, come fa lo Stato individualista e liberale; ma lo Stato fascista e soprattutto uno Stato idealista, spiritualista od educativo, ossia uno Stato- partito, o, se partito è uguale ad associazione o ecclesia, uno Stato ecclesiastico. […]  Lo Stato fascista è invero uno Stato tipicamente e pienamente totalitario; e ciò in due sensi :


a) in senso dinamico e filosofico, in quanto lo Stato fascista, promanando direttamente ed immediatamente da una rivoluzione ed essendo formalmente uno Stato « rivoluzionario » per il modo della sua formazione, non può essere, per definizione, che totalitario e dittatoriale, in quanto unica, indivisibile, e non soggetta a divisioni e transazioni di sorta, è l'idea politica o la concezione dello Stato da realizzare, come unico e, per conseguenza, il « partito rivoluzionario », soggetto e titolare dell'idea e della Rivoluzione;

b) in senso statico e politico, in quanto, essendo necessario, immanentemente, e non solo provvisoriamente nel tempo, come è di ogni « partito rivoluzionario » per quanto lunga possa essere la durata temporale di una rivoluzione, l'idem velle et sentire de repubblica, un'associazione unitaria ed unica, impropriamente ancora denominata Partito, è e deve rimanere, come il suo cuore, al centro dello Stato”.

II ) Lo Stato fascista come Stato etico Unitario.

 

Giovanni Gentile : “Questo Stato che vuole, anzi è la sola volontà concreta, […] non sarebbe volontà, se non fosse una persona. Giacché per volere bisogna avere coscienza di quel che si vuole, dei fini e dei mezzi; e per aver una tale coscienza, bisogna prima di tutto aver coscienza di sé, distinguersi dagli altri, affermarsi nella propria autonomia, come centro di attività consapevole; insomma, essere persona. Ma chi dice persona, dice attività morale; dice una attività che vuole quel che deve volere, secondo un ideale. E lo Stato che è coscienza nazionale e volontà di questa coscienza, attinge da questa coscienza l'ideale a cui esso mira e indirizza tutta la sua attività. Perciò lo Stato non può non essere una sostanza etica. […] Lo Stato ha per noi un valore morale assoluto, come la persona in funzione della quale tutte le altre hanno un valore, che coincidendo con quello dello Stato è pur esso assoluto. Ponete mente: la vita umana è sacra. Perché? L'uomo è spirito, e come tale ha un valore assoluto. Le cose sono strumenti, gli uomini fini. Eppure la vita del cittadino, quando le leggi della Patria lo richiedano, deve essere sacrificata. Senza queste verità evidenti e perciò piantate nel cuore di tutti gli uomini civili, non c'è vita sociale, non vita umana. […] Noi pensiamo che lo Stato sia la stessa personalità dell'individuo, spogliata dalle differenze accidentali, sottratta alla preoccupazione astratta degl'interessi particolari, non veduti e non valutati nel sistema generale in cui è la loro realtà e la possibilità della loro effettiva garanzia; personalità ricondotta e concentrata nella loro coscienza più profonda: dove l'individuo sente come suo l'interesse generale, e vuole perciò come volontà generale. Questa profonda coscienza che ognuno di noi realizza e deve realizzare dentro di sé come coscienza nazionale nel suo dinamismo, con la sua forma giuridica, nella sua attività politica, questa base stessa della nostra individualità, questo è lo Stato. E concepirlo al di fuori della vita morale, è privare l'individuo stesso della sostanza della sua moralità. Lo Stato etico del fascista non è più, s'intende, lo Stato agnostico del vecchio liberalismo. La sua eticità è spiritualità: personalità che è consapevolezza; sistema che è volontà. E sistema vuol dire pensiero, programma. Vuol dire storia d'un popolo raccolta nel fuoco vivo di una coscienza attuale e attiva. Vuol dire concetto di quel che si è, si può e si deve essere: vuol dire missione e proposito, in generale e in particolare, remoto e prossimo, mediato e immediato, tutto determinato. Lo Stato è la grande volontà della nazione; e perciò la grande intelligenza. Nulla ignora; e non si ritiene estraneo a nulla di ciò che tocca l'interesse del cittadino, che è il suo interesse: né economicamente, né moralmente. Nihil humani a se alienum putat. Lo Stato non è né una grande facciata, né un vuoto edificio: è l'uomo stesso; la casa costruita e abitata e avvivata dalla gioia e dal dolore del lavoro e di tutta la vita dello spirito umano. (Ccf)

 

[…] In questa virile concezione della vita è il principio di quella teoria fascista che definisce lo Stato come un organismo etico: cioè come una coscienza e una volontà in atto, nella quale sbocca e si attua in pieno la coscienza e la volontà dell'individuo, nella sua essenza morale e religiosa. (Ff)

Alfredo Rocco : “Alla vecchia concezione atomistica e meccanica della società e dello Stato, base della dottrina liberale, democratica e socialista, il fascismo sostituisce una concezione organica e storica. Organica, non nel senso che raffiguri la società come un organismo, non perciò alla maniera delle cosiddette teorie organiche dello Stato, ma nel senso che conferisce alle società, come frazioni della specie, scopi e vita oltrepassanti gli scopi e la vita degli individui e comprendenti invece quelli della serie indefinita delle generazioni. Che nella società, come frazione della specie, si voglia o non si voglia vedere un organismo, diventa a questo punto perfettamente superfluo. Concezione organica, poi, vuol dire, applicata alla società umana, essenzialmente concezione storica in quanto essa considera la società nella sua vita continuativa, oltre quella degli individui. Il rapporto pertanto fra società ed individuo appare nella dottrina del fascismo perfettamente rovesciato. Alla formula delle dottrine liberali, democratiche e socialistiche: la società per l'individuo, il fascismo sostituisce l'altra: l'individuo per la società. Ma con questa differenza, che mentre quelle dottrine annullavano la società nell'individuo, il fascismo non annulla l'individuo nella società. Lo subordina, non l'annulla, perché l'individuo, come parte della sua generazione, è pur sempre elemento, sia pure infinitesimale e transeunte, della società. Lo sviluppo e la prosperità degli individui di ciascuna generazione, quando siano proporzionati ed armonici, diventano condizioni dello sviluppo e della prosperità di tutta l'unità sociale. Vi è dunque un interesse delle società alla prosperità degli individui. A questo punto l'antitesi tra la concezione fascista e la concezione liberale-democratica-socialista, appare — come è — assoluta e totale. Per il liberalismo (come per la democrazia e il socialismo) le società umane sono la somma degli individui viventi; per il fascismo le società sono l'unità riassuntiva della serie indefinita delle generazioni. Per il liberalismo (come per la democrazia e il socialismo) la società non ha scopi distinti da quelli dei singoli che la compongono a un dato momento. Per il fascismo la società ha scopi suoi storici ed immanenti, di conservazione, di espansione, di perfezionamento, distinti dagli scopi dei singoli individui che, pro tempore, la compongono e che possono eventualmente anche essere in contrasto con gli scopi individuali. Di qui la possibilità, che le dottrine dominanti non concepiscono, del sacrificio anche totale dell'individuo alla società e la spiegazione del fatto bellico, legge eterna della specie umana, che quelle dottrine non spiegano, se non come una assurda degenerazione o una mostruosa pazzia. Per il liberalismo (come per la democrazia e il socialismo) la società non ha vita distinta dalla vita degli individui, solvitur in singularitates. Per il fascismo la vita della società sorpassa di molto quella degli individui e si prolunga attraverso le generazioni, per secoli e per millenni; gli individui nascono, crescono, muoiono, sono sostituiti da altri, e l'unità sociale, attraverso il tempo, resta sempre identicamente se stessa. Per il liberalismo (come per la democrazia e il socialismo), l'individuo è fine, la società è mezzo; né è concepibile che l'individuo, che è fine, possa mai assumere il valore di mezzo. Per il fascismo la società è fine e l'individuo è mezzo, e tutta la vita della società consiste nell'assumere l'individuo come strumento dei fini sociali. L'individuo è bensì tutelato e favorito nel suo benessere e nel suo sviluppo, ma ciò non avviene mai nell'interesse esclusivo del singolo, ma sempre per una convergenza tra l'interesse del singolo e l'interesse sociale. Si spiegano così istituti, come la pena di morte, che il liberalismo condanna in nome della preminenza dei fini dell'individuo. Per il liberalismo (come per la democrazia e il socialismo) il problema fondamentale della società e dello Stato è il problema dei diritti del singolo. Sarà per il liberalismo il diritto alla libertà, per la democrazia il diritto al governo della cosa pubblica, per il socialismo il diritto alla giustizia economica, ma è sempre il diritto dell'individuo o di gruppi di individui (classi), in questione. Per il fascismo il problema preminente è quello del diritto dello Stato e del dovere dell'individuo e delle classi; i diritti dell'individuo non sono che riflesso dei diritti dello Stato, che il singolo fa valere come portatore di un interesse proprio e come organo di un interesse sociale con quello convergente. In questa preminenza del dovere sta il più alto valore etico del fascismo”.

 

Carlo Costamagna : “ 62. Per la dottrina fascista il « suo » Stato, cioè lo « Stato fascista » è dunque una « realtà di per sé ». E questo è il supremo risultato della sua posizione spirituale. Contro la versione naturalista essa, infatti, propugna che lo Stato è una realtà; sebbene non sia un risultato accertabile dai sensi. È una « realtà dello spirito » e non già un conglomerato materiale, e nemmeno uno schema intellettualista. [...] Il § 10 della Carta del lavoro dice che « la nazione ita­liana è un organismo che si realizza integralmente nello Stato fascista ». Ma il richiamo al concetto organico, conte­nuto in questa formula, va inteso nel senso dell'« organicismo etico », non nel senso meccanico, né tampoco nel senso razio­nale, secondo le escogitazioni coltivate dal pensiero indivi­dualista del secolo scorso. [...]. Lo Stato è un soggetto che ha natura propria, ben diversa da quella del soggetto uomo, sebbene il suo con­tenuto, come vedremo, sia quello di interessi umani. [...]

69. A termini del § I della Carta del lavoro, come si è detto testé, lo « Stato fascista » è una « unità», nel medesimo tempo « morale, politica ed economica ». Lo Stato fascista ha un carattere « integrale » e « totalitario » di fronte al valore schematico e ristretto che ebbe lo Stato per la dottrina e per la coscienza individualista. La concezione in tali termini è affatto nuova e la denomi­nazione riferibile al tipo dello Stato che ne risulta non potrà  pertanto più essere quella di « Stato di diritto » nel senso in cui si volle indicare lo « Stato moderno ». E nemmeno potrà essere quella di « Stato economico », nel senso assai improprio in cui venne opposta alla raffigurazione giuridica dello Stato e in cui si vorrebbe riprenderla da qualcuno, anche nel quadro della corrente letteratura italiana, sotto la etichetta di « Stato corporativo », nel senso « professionale » della parola. [...] Invece, per la dottrina fascista, lo Stato ha, come fine se medesimo, vale a dire la civiltà, in quanto contenuto della « città », cioè dello Stato stesso: e quindi come « potenza ». Senza di ciò, senza, cioè, questa esclusiva destinazione intrin­seca, lo Stato non sarebbe pienamente sovrano; vale a dire autarchico, come la nuova coscienza lo esige”.

 

Sergio Panunzio : “Il nuovo Stato ha due facce : una faccia politica; una faccia sociale. In quanto tale, esso supera, perché integra, lo Stato tradizionale, risolvendo in questo modo la così detta « crisi dello Stato moderno»; la quale traeva le sue origini dal fatto che lo Stato era — ridotta la società ad un polverio di atomi individuali con il violento scioglimento e disperdimento, operato dal liberalismo e dal capitalismo, dei complessi sociali e dei gruppi interattivi tra l'individuo e lo Stato — senza basi sociali. Lo Stato fascista, a differenza dello Stato individualista, e uno Stato sociale e politico : […] Spettava a Mussolini e al Fascismo il compito storico di ricongiungere, nello Stato fascista, la società con lo Stato, di saldare in una poderosa unità l'economia e la politica, scisse dal liberalismo; di fondere in un solo sistema del «Sindacalismo fascista » o « corporativo », che « giuridicamente » può qualificarsi — io credo — come un sistema di « Sindacalismo di Stato », il Sindacalismo con lo Statismo. […] Con lo Stato fascista siamo al trionfo dello Stato sui Sindacati; alla promozione dei Sindacati allo Stato ed alla « immedesimazione » dello Stato con i Sindacati e dei secondi col primo. Né lo Stato-popolo (Rivoluzione francese); né lo Stato-classe (Rivoluzione russa); ma lo Stato-società, anzi meglio e più lo Stato-Nazione. […] Lo Stato fascista ricco così di una forte membratura sociale, politicamente accentrato ed autoritario — giustamente il Duce ha detto che il Fascismo lungi dal negare la Democrazia, presenta il vero tipo di uno Stato popolare, di grandi masse organizzate, ma appunto perciò fortemente autoritario, gerarchico e accentrato — non corre il pericolo di essere sommerso e inghiottito dalle società particolari e dai sindacati; non scioglie questi ultimi, ma li ammette nel suo seno, li riconosce anzi, li colloca al loro giusto posto, riservando loro la coscienza di « funzione » e di « parti », non di « fine » e di « tutto », di parti subordinate al tutto, non di parti erigentisi esse al tutto; e primieramente li comanda, li signoreggia, li adopera e li piega come parti di se stesso ai suoi fini immanenti e sovrani. I Sindacati non sono, come si illudevano di diventare, enti autonomi, e corpi chiusi ed a sé, e diventano, invece, enti o istituzioni « autarchiche », ossia « ausiliarie » dello Stato. I Sindacati non solo sono parti subordinate al tutto, aventi coscienza della loro posizione e funzione di parti e della loro subordinazione; ma, quel che più conta, in un grado più elevato della loro interna dialettica spirituale, hanno coscienza del tutto, e, se così potessi esprimermi, sono sì delle parti, ma delle « parti totali ». Sta proprio qui, in questa immedesimazione cosciente delle parti col tutto, dei Sindacati con lo Stato, la radice spirituale ed il fondamento filosofico dell'autarchia giuridica sindacale. In altri termini, quel sentimento dello Stato, che, secondo il mio concetto, è il centro e la stessa sostanza spirituale dello Stato, come investe, domina e dirige gli individui, così investe, domina e dirige le associazioni”.

III ) Il Corporativismo come mezzo per realizzare l’unità economica dello Stato fascista.

 

Giovanni Gentile : “[…] E il fascismo, ribelle nella maniera più intransigente ai miti e alle menzogne del socialismo internazionalista dei senza patria e senza doveri, esasperatore del sentimento del diritto e quindi dell'individualità in nome di un astratto e vuoto ideale di fratellanza umana, il fascismo, che questo Stato forte etico concepisce non come plumbea cappa soffocatrice d'ogni germe che fermenti nella vita spontanea della nazione, anzi come la forma suprema e l’unità cosciente e possente di tutte le forze nazionali nel loro maggiore sviluppo successivo, non torna a cacciare dalla scena politica il proletariato che vi fu introdotto ed esaltato dal socialismo. Lo Stato etico deve scaturire dalla stessa realtà e perciò aderirvi; e da questa aderenza derivare la sua forza e la sua potenza. Perciò oggi il fascismo si travaglia a riorganizzare sopra un fondamento nazionale e in perfetto accordo col suo concetto morale dello Stato le masse lavoratrici; e vagheggia una forma di ordinamento che, sottraendo lo Stato alla menzogna convenzionale del vecchio Parlamento dei politicanti di professione, vi componga in assetto tanto più durevole e solido quanto più dinamico tutte le forze sociali, economiche ed intellettuali, onde si generano le sane e schiette correnti politiche del paese. Non entrerò in particolari, che potranno essere corollari della dottrina fascista, ma non sono il fascismo. Non sono i corollari che danno significato storico al nostro movimento. La sua importanza è nell'idea, nello spirito animatore; quello contro il quale, ne siamo certi, portae inferi non praevalebunt ”. (Ccf)

 

“[…] Ma il carattere totalitario, etico e perciò liberale dello Stato fascista resterebbe un'esigenza od affermazione teorica se questo Stato non risolvesse in sé, o, come oggi si ama dire in Italia, non inquadrasse, secondo le sue obbiettive categorie e specificazioni che sono economiche in quanto sono pure indirizzi e orientamenti spirituali e morali, la massa del popolo. La riforma costituzionale dello Stato che il Regime fascista mise allo studio nel '24, che il 30 aprile del '27 fu proposta ne' suoi postulati fondamentali nella Carta del lavoro, si venne sviluppando senza frettolose improvvisazioni con le leggi 20 marzo 1930 e 5 febbraio 1934 sul Consiglio Nazionale delle Corporazioni e sulla costituzione e funzioni delle Corporazioni, e con quella sulla Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Della quale trasformazione dello Stato basti accennare il concetto centrale a cui tutta è ispirata. È il concetto dell'unità non amorfa ed astratta, ma organica e però determinata, specifica, e concreta della Nazione che è Stato; in cui è la volontà universale non sia forma vuota, che s'imponga al suo contenuto, ma la forma stessa connaturata al contenuto, ossia all'individuo nella pienezza delle determinazioni attuali della sua personalità. Personalità produttiva; ma non giustapposta indifferentemente alle molte unità produttive coesistenti e consociate in quella che Hegel chiamava l'atomistica della società civile o economica che si dica. Il Fascismo concepisce questa produzione nel sistema organico delle sue specificazioni e dei suoi mutui rapporti, dove l'individuo vede e deve vedere la propria opera connessa con quella di tutti gli altri; non più quindi semplice attività economica, ma attività altresì morale e politica perché determinata secondo un sistema di rapporti che promanano dall'interesse superindividuale della nazione, a cui tutti gl'individui interessi dell'uomo economico sono subordinati, e in cui perciò tutti gli antagonismi di individui o di classi sono composti e unificati. E l'economia diventa politica non soltanto a parole; e schiettamente si attua il principio che del resto ha sempre operato, a malgrado di ogni supposto teorico, dell'intervento dello Stato nel regolamento dei rapporti economici. Fare coincidere l'organizzazione politica con la specificazione economica della Nazione, immettere l'individuo reale e vivo nel sistema dello Stato e dargli modo di spiegare attraverso l'azione di questo il processo reale della sua libera attività così come essa germoglia dai suoi bisogni, dai suoi interessi e insieme dalla sua coscienza politica (fascisticamente politica), è il più poderoso e il più significativo sforzo della Rivoluzione fascista per fare della libertà, che fu sempre in passato un ideale remoto dalla vita, una realtà concreta e viva”. (Ff)

Alfredo Rocco : “[…] Quanto al socialismo, la dottrina fascista riconosce francamente che il problema che esso pone, quello dei rapporti fra capitale e lavoro, è gravissimo, forse il problema centrale del mondo moderno. Questo non significa che il mezzo proposto dal socialismo per risolverlo, la socializzazione dei mezzi di produzione e l'organizzazione collettivistica della produzione, sia da accettare. […] L'errore fondamentale del socialismo è quello di fare della proprietà privata una questione di giustizia, mentre essa e un problema di utilità e di necessità sociale. Anche nel riconoscimento della proprietà individuale, non è il punto di vista individuale, bensì il punto di vista sociale, che trionfa. Ma respinta la soluzione socialista, non si può ammettere che il problema posto dal socialismo resti insoluto, non solo con detrimento della giustizia, ma soprattutto con danno gravissimo della pace pubblica e dell'autorità dello Stato, come avviene in regime liberale e democratico. […] Posto il problema in questi termini, esso non ammette che una soluzione: la realizzazione della giustizia tra le classi per opera dello Stato”.

 

Carlo Costamagna : “Quanto alla versione di « Stato economico » e alla definizione di « Stato corporativo », nel senso professionale della parola, bisogna dire che si è fatto troppo chiasso, nella letteratura spicciola, per questa seconda formula. « Troppi ondivaghi filosofanti » — avverti MUSSOLINI all'Assemblea nazionale delle corporazioni nel 1937 — « hanno dissertato sulle corporazioni col risultato di ingarbugliare le idee e di rendere astruse delle semplici verità ». La formula di « Stato Corporativo » si volle dedurla dalla circostanza che lo Stato fascista ha proceduto alla disciplina delle forze della produ­zione, adottando un ordinamento ufficiale delle professioni. […] Basta avvertire che quando oggi si parla di « corporativismo », a proposito dell'aspetto costitu­zionale del Fascismo, se ne parla per lo più in riferimento alle formazioni di carattere propriamente « professionale » ed « economico ». E pertanto, quando si presenta per lo Stato fascista la definizione esclusiva di « Stato corporativo », si intende insinuare, se anche per opportunità non lo si confessa, che lo Stato promosso dalla rivoluzione delle Camicie nere dovrebbe ritenersi « Stato economico ». Il che è precisamente l'opposto di quello che lo Stato fascista vuol 'essere, ed è effettivamente nella coscienza del popolo italiano e nella mente del suo Fondatore. La pretesa di dare un valore professionale ed economico allo Stato fascista è destituita di ogni fondamento come, del resto, è evidente l'impossibilità che qualunque tipo di Stato si riduca al solo contenuto economico. [...] l'ordinamento dello Stato fascista riposa sulla isti­tuzione del « Partito nazionale fascista », a preferenza che sulle « associazioni sindacali » e sulla funzione direttiva su­prema della Corona e del suo organo attivo: il Capo del go­verno. Ed il DUCE ha nettamente specificato, nel discorso del 14 novembre 1936, che le due prime condizioni perché si possa fare del corporativismo, in senso integrale e rivolu­zionario, sono quelle ultra economiche che esista uno «Stato unitario » e che esista un « partito politico unico ». Circa, poi, lo « scopo » o « fine » dello Stato, deve dirsi che questo nello « Stato economico », sarebbe soltanto l'economia, e cioè, la ricchezza; mentre per la dottrina politica nazio­nale del Fascismo, come si è più volte enunciato, lo Stato ha per fine se stesso, in quanto « bene comune » che non è sol­tanto economico, ma altresì politico e soprattutto morale e sinteticamente « spirituale » od etico”.

Sergio Panunzio : “ […]  Lo Stato fascista non è e non vuol essere uno Stato economico. Esso dirige, controlla, armonizza, comanda l'economia; è la forma, la misura, il limite, il temperamento, la disciplina dell'economia, ma non fa l'economia. Non è escluso, tutt'altro, che esso — oltre a sostituirsi in caso di contrasto, fra il privato ed il pubblico, all'impresa privata — per certe produzioni e servizi, faccia direttamente e materialmente l'economia, gestendo la produzione e comportandosi così anche come un soggetto economico distinto; […]  Ma anche quando lo Stato fascista fa l'economia, […] esso si mette sul terreno delle altre imprese economiche : tutte, poi, assoggettate e armonizzate con la sua azione e direzione politica. Che cosa voleva creare lo Stato socialista ? Lo Stato puramente economico, ossia la dissociazione dell'economia dalla politica ed anzi la elisione totale della politica. Lo Stato fascista invece rappresenta energicamente la più forte « concentrazione » del potere politico, di cui è nuova espressione sovrana il suo controllo giuridico-economico sulla produzione, e l'insieme della funzione corporativa dello Stato. […]  Com'è noto anche in diritto pubblico, come in biologia, per il noto principio della « potenza plastica della funzione », è la funzione che crea produce e plasma gli organi; la funzione è il prius, l'a priori, infinita ed inesauribile nei singoli e determinati organi materiali che si vanno progressivamente determinando; e gli organi sono il posterius ed il derivato. Da noi si è avuta fin dagli inizi dello Stato fascista, in modo chiaro ed evidente, la Corporazione, ossia, in senso logico, la funzione corporativa dello Stato, anche senza le Corporazioni; mentre è solo con la legge 5 febbraio 1934 che abbiamo avuto, come organi ed istituzioni a sé, le Corporazioni e la costituzione materiale delle medesime. Prima la funzione, poi gli organi. L'essenziale è impossessarsi dell'idea che la corporazione, come funzione tecnica dello Stato, è, accanto e oltre la legislazione, la giurisdizione e l'amministrazione dalla quale ultima essa « storicamente » si specifica, una immediata esplicazione dello Stato politico e della unitaria indecomponibile ed inesauribile generale sovranità o potestà d'impero o di governo dello Stato”.

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[1] E’ l’interrogativo posto di recente anche dal mensile francese Philosophie Magazine, che nel numero 79 del maggio 2014, in una apposita inchiesta intitolata “Existe-t’il une pensée fasciste?”, poneva la questione secondo il classico ed abusato stereotipo che mette in relazione il Fascismo con gli odierni movimenti dell’estrema destra. Da segnalare tuttavia l’interessante intervista rilasciata dallo storico Zeev Sternhell sull’importanza del mito politico nel pensiero fascista, pp. 42 - 45.

 

[2] Cfr. Marco Piraino, Stefano Fiorito, L’Estrema Destra contro il Fascismo – Saggi sullo stravolgimento dell’identità fascista attuato dalla destra italiana, Lulu.com, 2011.

 

[3] Marco Piraino, Stefano Fiorito, L’IDENTITA’ FASCISTA – progetto politico e dottrina del fascismo, Lulu.com, 2008, 2a ediz.

 

[4] Emilio Gentile, Le origini dell’ideologia fascista 1918 – 1925, 2a edizione, Bologna, 1996, Il Mulino.

 

[5] Benedetto Croce, Pagine sparse, vol. III, Bari, Laterza, 1960; Piero Gobetti, La rivoluzione liberale, Torino, Einaudi, 1965.

[6] Antonio Gramsci, Socialismo e fascismo. L’ordine nuovo (1921-1922), Torino, Einaudi, 1971.

[7] Alessandra Tarquni, Il Gentile dei fascisti – gentiliani e antigentiliani nel regime fascista, Bologna, 2009, Il Mulino.

 

[8] A. James Gregor, L’ideologia del fascismo – il fondamento razionale del totalitarismo, ristampa a cura di M. Piraino, Lulu.com, 2013.

 

[9] Cfr. Renzo De Felice, Intervista sul fascismo, Laterza, Bari, 1974.

 

[10] Alessandra Tarquini, Storia della cultura fascista, Bologna, 2011, Il Mulino, pp. 35 – 36.

 

[11] Cfr. Marco Piraino, Stefano Fiorito, Pro Caesar – saggio sulla dottrina fascista dello Stato come concezione politica religiosa, Lulu.com, 2014.

 

[12] Zeev Sternhell,  Nascita dell’ideologia fascista, Milano, 1993, Baldini & Castoldi, pp. 9 – 52.

 

[13] Cfr. Sergio Panunzio, Lo Stato Nuovo, in Teoria generale dello Stato fascista, 2a edizione, Padova, 1939; adesso in A. James Gregor, Sergio Panunzio – il sindacalismo ed il fondamento razionale del fascismo, nuova edizione a cura di M. Piraino, Lulu.com, 2014, p. 251.

 

[14] Pier Giorgio Zunino, L’ideologia del fascismo, Bologna, 1985, Il Mulino.

[15] Filippo Gorla, Il fascismo, i culti a-cattolici e le religioni dell’oriente nelle riviste del regime (1922 – 1943), Università Cattolica Milano, tesi dottorato, Anno accademico 2010/2011, pp. 26 – 27.

[16] A. Tarquini, op. cit. pp. 114-115 / 122-123.

[17] Giovanni Gentile, Che cosa è il fascismo, Vallecchi, Firenze, 1925.

 

[18] Alfredo Rocco, La dottrina politica del fascismo, in Scritti e discorsi politici di Alfredo Rocco – La formazione dello Stato fascista, Ristampa a cura di M. Piraino e S. Fiorito, Lulu.com, 2013, pp. 1093 – 115.

 

[19] Carlo Costamagna, Dottrina del Fascismo, 2a ediz. Torino, 1940, Utet, p. 118.

 

[20] Giovanni Gentile, “Che cosa è il fascismo”, op. cit. ; La filosofia del Fascismo, in Italia d’oggi, edizioni de Il libro italiano nel mondo, Roma, 1941, adesso in L’Identità Fascista, op. cit. pp. 217 – 232.  

 

[21] Cfr. Dizionario di politica a cura del Partito Nazionale Fascista – Antologia, Volume Unico, a cura di Marco Piraino e Stefano Fiorito, Lulu.com, 2014.

 

[22] Cfr. Niccolò Giani, “Civiltà fascista, Civiltà dello Spirito”, in Gerarchia, luglio 1937; “La Mistica come Dottrina del fascismo”, in Dottrina Fascista, aprile 1938. Adesso in Mistica della Rivoluzione fascista, Catania, 2010, Il Cinabro. Riguardo la condivisione e diffusione dei temi politici propagandati dal Partito Nazionale Fascista tra i giovani italiani cresciuti nel periodo tra la due guerre mondiali, merita attenzione il saggio di Luca La Rovere Storia dei GUF. Organizzazione, politica e miti della gioventù universitaria fascista, Torino, 2003, Bollati Boringhieri.

 

[23] In “Dizionario di politica a cura del Partito fascista – Antologia, Volume Unico”, op. cit., pp. 541 – 572.

 

[24] “Lo stato fascista è una volontà di potenza e d’imperio. La tradizione romana è qui un’idea di forza. Nella dottrina del fascismo l’impero non è soltanto un’espressione territoriale o militare o mercantile, ma spirituale o morale. Si può pensare a un impero, cioè a una nazione che direttamente o indirettamente guida altre nazioni, senza bisogno di conquistare un solo chilometro quadrato di territorio. Per il fascismo la tendenza all’impero, cioè all’espansione delle nazioni, è una manifestazione di vitalità”, in Dottrina del Fascismo, Enciclopedia Italiana vol. XIV pp. 847 – 851.

[25] Sergio Panunzio, Teoria generale dello Stato fascista, op. cit.

 

[26] A. Tarquini, op. cit. pp. 123 – 128.

 

[27] Cfr. Che cosa è il fascismo?, a cura di Alessandro Campi, Roma, 2003, Ideazione editrice.

[28] Cfr. Marco Piraino, Stefano Fiorito, Pro Caesar – saggio sulla dottrina fascista dello Stato come concezione politica religiosa, op. cit., pp. 6 – 13.

 

[29] Marco Piraino, Stefano Fiorito, L’IDENTITA’ FASCISTA – progetto politico e dottrina del fascismo, op. cit.

 

[30] Idem, pp. 213 – 215.

 

[31] Marco Piraino, Stefano Fiorito, Pro Caesar, op. cit., pp. 14 – 16.

 

[32] Marco Piraino, Stefano Fiorito, L’estrema destra contro il fascismo, op. cit. p. 13.

 

[33] Cfr. M. Piraino, S. Fiorito, L’IDENTITA’ FASCISTA, op. cit., pp. 31 – 120.

 

[34] Cfr. A. James Gregor, L’ideologia del fascismo, op. cit., pp. 249 – 251. Giuseppe Bottai, fascista della prima ora e ministro del governo fascista, in una conferenza intitolata “Il Fascismo come rivoluzione intellettuale” tenuta nel 1924, aveva sostenuto in proposito… “Sarà bene dinanzi a certe deformazioni manganellistiche che si attardano ai margini del Fascismo e in forza di cui si tenterebbe, con gioco ridicolo e turpe, di rivendicare alla manesca bravura di alcuni malati di eroismo postumo, tutto il merito di un movimento nazionale - ristabilire questa verità semplice, consacrata, del resto, nelle cronache del marzo 1919, che il primo nucleo costitutivo del Fascismo fu di intellettuali. Di intellettuali che, provenienti da scuole, da discipline, da tendenze diverse e finanche opposte, si ritrovavano, in grazia della rinnovatrice meditazione sofferta nel comune sacrifizio della trincera, uniti nell'improvvisa luce d'una intelligenza nuova della vita in genere, della vita politica italiana in ispecie.  Il Fascismo è di origini squisitamente intellettuali. […] Se è vero, come è vero, che il problema centrale del Fascismo è, ancor oggi, tanto nell'ordine nazionale quanto nel suo ordine interno di organizzazione di parte, quello della creazione di una nuova classe dirigente, ciò non significa che quella prima pattuglia che nel marzo del 1919 si adunò intorno a Benito Mussolini abbia fallito alle sue premesse intellettuali di negazione della vecchia cultura e di creazione della nuova. Significa, invece, che il compito storico del Fascismo, che nel marzo del 1919 si presentò alla mente del suo fondatore e dei suoi primi seguaci in tutta la sua terribile vastità, permane a cinque anni di distanza, con tutto il peso della sua enorme responsabilità. Le dure necessità della lotta antibolscevica, che fu, secondo noi, aspetto secondario e non principale del Fascismo, impedirono l'assolvimento di quel compito. Non si poteva filosofare con il nemico alle porte. Ma rimosso l'ostacolo, conquistato il potere, il problema delle origini si ripropone in tutta la sua interezza. Questo problema è di rivoluzione intellettuale. Così noi rispondiamo agli oppositori, che tentano di gettare nel nostro cammino l'equivoco d'una rivoluzione esaurita in uno sforzo puramente muscolare e ci negano il diritto di creare la politica nuova della nuova Italia, e rispondiamo, anche, mi sia permesso affermarlo senza ambagi, a quei fascisti i quali incedono nell'equivoco antifascista dell'opposizione, quando disgraziatamente tentano di elevare a teoria aspetti superati o transeunti della nostra azione politica.Il fascismo come rivoluzione intellettuale”, In R. De Felice, Autobiografia del Fascismo, Torino, 2001, Einaudi, p. 286. Anche Giovanni Gentile, tra i tanti fascisti politicamente più consapevoli, aveva chiaramente scritto al riguardo nel 1928 che… “Anti-intellettualismo non vuol dire, come crede il più ignorante fascista, gongolante di gioia quando si crede autorizzato dal Duce a infischiarsene della scienza e della filosofia, non vuol dire che davvero si neghi ogni valore al pensiero e a quelle forme superiori della cultura in cui il pensiero si potenzia. La realtà spirituale è sintesi, la cui unità si manifesta e vale come pensiero che è azione. Ma all’unità conclusiva di questa sintesi concorrono, devono concorrere, e devono saper di concorrere, molti elementi; senza i quali la sintesi sarebbe vuota, e lavorerebbe nel vuoto. Tra questi elementi tutte le forme dell’attività dello spirito, le quali perciò hanno tutte quello stesso valore che è proprio della sintesi, a cui sono essenziali.” In, G. Gentile, La Civiltà fascista, Torino, 1928.

[35] Alfredo Rocco, La formazione dello Stato fascista – scritti e discorsi di Alfredo Rocco, 1925 – 1934, op. cit.

 

[36] “…le sistemazioni dottrinali di istituti e di concetti, non sono – mi sia concesso di ripeterlo ancora una volta – superfetazioni e inutili perdite di tempo, come pretendono alcuni i quali si ritengano interpreti di un’asserita realtà, pratica, materiale, corposa, in confronto della quale le discussioni dottrinali avrebbero quasi vaneggiamento di perdigiorno. Chiunque abbia una certa consuetudine di vita spirituale è in grado di fare – ed ha già fatto – giustizia sommaria di una tale ingenua e grossolana opinione, che è figlia legittima di menti superficiali e incapaci di elevarsi a una considerazione, veramente realistica e aderente, della realtà storica”. Giuseppe Bottai, Corporativismo e principi dell’ottantanove, In R. De Felice, Autobiografia del Fascismo, op. cit., p. 286.

[37] Benito Mussolini, Lettera a M. Bianchi, 27 agosto 1921, cit. in G. S. Spinetti, Sintesi della Dottrina Fascista, Milano, 1941, Hoepli, p.254.

 

[38] Benito Mussolini, Cinque anni dopo San Sepolcro, 24 marzo 1924, in G. S. Spinetti, Sintesi della Dottrina Fascista, op.cit., p. 255.

 

[39] Cfr. Benito Mussolini, La Dottrina del Fascismo – commenti e note a cura di G. Esposito. Appendice: le leggi del Regime fascista. Terza edizione riveduta, Milano, 1942, Hoepli; ristampa a cura di M. Piraino e Stefano Fiorito, Lulu.com, 2014.

[40] Idem, pp. 6 – 9.

 

[41] Ibidem, pp. 9 – 11.

 

[42] Carlo Costamagna, Dottrina del Fascismo, op. cit., p. 125.

[43] In Dizionario di politica a cura del Partito Nazionale Fascista – Antologia, Volume Unico, op. cit. , p. 59.

 

[44] Yvon De Begnac, Taccuini mussoliniani, Torino, 1990, Il Mulino, p. 445.

 

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